Domenico Di Virgilio Folklore and folklorism: some remarks from the fieldwork in Central Italy (and beyond) |
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Trasformazioni nella civiltà contadina in Abruzzo: se la musica cambia, cosa resta?Domenico Di Virgilio Osservare e descrivere una cultura che cambia, oggi, mi sembra sempre più difficile. Entrano in gioco infatti tanti fattori che pesano su questi cambiamenti, mi chiedo spesso poi se alcune espressioni, come la musica tradizionale, si stiano banalizzando. Ricerche e riaffermazioni di identità più o meno rintracciabili sono all'ordine del giorno " Un timore di perdita dell'identità, un tabù puritano di mescolare corpi e credenze incombono sul processo. E se invece l'identità fosse concepita non come una frontiera da mantenere, ma come un nesso di relazioni e transazioni che impegnano attivamente un soggetto? La storia o le storie d'interazione devono allora essere più complesse, meno lineari e teleologiche." (J. Clifford 1999, pag. 393); le culture musicali di tradizione orale infatti presentano ormai quasi sempre inequivocabili incontri ed esiti, vissuti però con apparente'? leggerezza. Una leggerezza nel dimenticare, e allora la ricerca diventa archeologia; una leggerezza nel raccontarsi. E quando questi cambiamenti si raccontano il tempo in cui si dispiegano è sempre più breve, e chi fa ricerca non è più tanto l'osservatore ma " un viaggiatore tra viaggiatori" (J. Clifford 1997, pag.53), fino a chiedersi se è lui stesso oggetto di osservazione. Per effetto principalmente dei media e della facilità di spostamento l'esperienza della dislocazione è oggi generalizzata, non più circoscritta come ieri a determinati momenti e funzioni della vita comunitaria e del singolo, e spesso coincidente con i momenti rituali. Tra osservatore ed osservato vi è spesso un continuum che denota una nuova ritualità'?. Una degli esempi più evidenti, per me, è l'emergere, nel canto, di una coralità indistinta, dove le voci, al contrario di quella tradizionale, non hanno connotazioni né soggettive né più ampiamente culturali, come potrebbe essere invece anche per un coro di formazione colta'. Se prima c'era chi cantava e suonava secondo riconosciute capacità e chi aveva l'onere di osservare, oggi questa distinzione dei ruoli si è persa o trasformata: chiunque può partecipare al coro o può osservare, può passare in un continuum, appunto, da un ruolo all'altro. E non sappiamo se chi partecipa è dello stesso paese, della stessa contrada, se condivide lo stesso retroterra di emozioni. I repertori che emergono rivitalizzati mi sembrano anche ribadire ciò che ormai da tempo dovrebbe essere ben manifesto: il lento progressivo erodersi degli antichi presupposti del nostro vivere in comune, un comune vivere' che apparteneva alla cultura agro-pastorale e nel caso nostro più vicino a quella contadina, (solo le ultimissime generazioni sono del tutto post - industriali e globali). L'affastellarsi di esperienze contaminate poi sempre più spesso suggerisce una realtà dispersa nei valori e nel paesaggio, quello urbano con: " l'intreccio disordinato dei linguaggi, un'incongruità ormai così pervasiva e densa da diventare cifra riconoscibile della contemporaneità, e quasi mai di un luogo specifico, la cui identità possiamo solo occasionalmente dedurre." (1); e quella delle campagne ormai punteggiate di centri commerciali - templi del consumo e dell'apparente tempo libero (andarci vuol dire sempre acquistare/consumare qualcosa, spesso superflua). Cosa significa in questo spaesamento (che forse sarà apparente) la continua riscoperta, rilettura, riappropriazione di espressioni culturali? Cercare una forma di effimera salvezza esistenziale? Rimandare ma di poco il confronto con la domanda: chi sono io? " Il terrore urbano è una forma particolarmente acuta di un più generale malessere sociale e psicologico sperimentabile anche al di fuori della grande città, e tipico di una cultura che ha ormai perso il suo originario ancoramento a certezze religiose e filosofiche pre-moderne, senza riuscire d'altra parte a darsi basi più solide della fragile percezione di quanto i propri valori possano essere costantemente messi in discussione. " (2). Un atteggiamento finora che non mette in discussione i fondamenti economici che sono alla base dei cambiamenti sofferti': si ferma al semplice prenderne atto. Se l'espressione che noi cerchiamo di documentare aveva una sua alterità, insita nel suo modo di essere, canoni estetici e soluzioni tecniche che poi la musica colta ha riscoperto negli ultimi decenni, l'incontro oggi, come fonte di salvezza', passa invece per la standardizzazione delle forme? Cioè per essere nuovamente funzionali' i repertori orali devono perdere le loro caratteristiche a volte estremamente parcellizzate per uniformarsi ad un contesto più ampio? Vorrei documentare allora dei cambiamenti e delle permanenze nei suoni, perché sono spie illuminanti del nostro panorama ambientale ed esistenziale (cosa del resto ampiamente riconosciuta), e chiedere in definitiva se ciò che ascoltiamo oggi sia autentico'. Se e come la tradizione che rimanda alle musiche di cultura orale, nel nostro caso della cultura contadina, trasmetta in modo più o meno integro' (che non significa non variata' ma piuttosto simile a se stessa') i bisogni ed i cambiamenti della società che esprime. Al convegno di Bomba si è citato Heidegger: " l'uomo è sintesi di echi e di sonorità ", ma quanto più gli echi si perdono tanto meno la tradizione è simile a se stessa'. Iniziamo con una permanenza'. Si tratta due versioni dello stesso documento: un canto bivocale femminile, eseguito in occasione della processione del Venerdì Santo nel Paese di Villa Petto (Teramo). All'ascolto, di per sé irrinunciabile, questa volta sostituiamo la vista: la descrizione dei documenti sonori attraverso le immagini delle loro caratteristiche fisico-acustiche. Lo spettro mostra la ricchezza della componente frequenziale (Hertz) e la potenza del suono (decibel) in funzione del tempo. Il timbro - colore delle voci che ascolteremmo, in caso ci fosse il supporto audio, è dato in maniera determinante da questi due elementi (ma non solo). Il nostro orecchio analizza il suono allo stesso modo e la nostra attenzione a queste voci, la loro capacità evocativa, sia da sole che negli impasti corali, risiede nella " effettiva ricchezza del contenuto sonoro "(3), che poi è in funzione degli echi ', effettiva ricchezza. L'immagine 1 (audio1) è relativa ad una registrazione della Pasqua 2004, eseguita in chiesa durante la funzione religiosa precedente la processione. Cantano due donne di circa 60/65 anni. L'immagine 2 (audio2) è relativa ad una registrazione della Pasqua 2005, effettuata in una stanza durante una prova precedente la processione del Venerdì Santo. Cantano due ragazze di 20/22 anni. Queste giovani, insieme ad altre, drammatizzano, nel corso della processione, la Via Crucis impersonando la Madonna, la Veronica ecc. E' questo uno degli elementi che rende possibile la trasmissione della tradizione: partecipano a questa drammatizzazione solo ragazze non sposate (devo queste informazioni all'antropologo Gianfranco Spitilli che sta lavorando sul Venerdì Santo a Villa Petto, e che è autore della registrazione del primo documento). Le ragazze sono del paese e vivono nel paese, imparano il canto fin da giovani e provano durante l'anno sotto la guida di una signora, finalizzando l'apprendimento all'evento del Venerdì Santo. All'ascolto delle due versioni' il risultato sonoro è sostanzialmente simile. Gli andamenti melodici, i rapporti intervallari tra le due voci (terze, terze neutre, quarte, quinte), le agoniche così come un certo colore delle voci. I sonogrammi che accompagnano i due documenti sonori mostrano una differenza, che rileviamo poi anche ad un ascolto più attento: una maggiore uniformità per l'immagine 1 nella banda frequenziale fino a circa 8kHz. Da un punto di vista strettamente metodologico i due documenti non sarebbero paragonabili essendo le registrazioni realizzate con attrezzature e in luoghi diversi, ma in etnomusicologia e lavorando sul campo è difficile avere sempre gli stessi' documenti, ottenere una tale neutralità'. Essi sono comunque per noi un punto di partenza per capire se l'atteggiamento vocale è simile, se si sia trasmesso cioè non solo il canto in sé (testo + melodia + interpretazione), ma lo stesso modo di cantare, la testimonianza' di come atteggiare l'apparato vocale per ottenere un certo risultato sonoro/timbrico. Esiste molta letteratura sulle caratteristiche foniche della voce cantata colta' o impostata', non molta letteratura sulle voci folkloriche (4). In generale si può dire che le due modalità/tecniche di canto sono antitetiche sia negli atteggiamenti assunti sia in parte per il risultato sonoro, non ultimo il fatto che per il canto colto si ha una tecnica insegnata, mentre la vocalità folklorica (la voce - timbro, non solo il canto) è un dato culturale appreso per imitazione'. La tecnica di canto insegnata per la musica colta' tende a mantenere rilassate le corde vocali con l'abbassamento della laringe, che rinforza la fondamentale ed ottiene un suono più potente e più morbido in quanto impoverito delle parziali superiori in alta frequenza. Nella vocalità folklorica si tende invece a prediligere proprio le parziali alte e queste voci presentano sempre uno spettro di frequenze molto ampio. Anche così si ottiene un volume di suono notevole ma con un impegno fisico maggiore. Quello che vediamo soprattutto nell 'immagine 1 è proprio uno spettro con tali caratteristiche, direi con le parziali ben spaziate in un'ampia banda frequenziale. Possiamo sottolineare anche come la scelta di evidenziare le alte frequenze sia anche un adattamento ambientale' per "(…) evitare il mascheramento del low-pitched ambient noise (…)"(5) come è particolarmente evidente nell'immagine 1. L' immagine3 (audio3) è invece relativa ad una incisione della soprano Renata Tebaidi (G. Verdi, La traviata: addio al passato . Orchestra del Teatro alla Scala, direttore A. Votto, reg. 8-5-1950). È chiaramente visibile come la frequenza fondamentale, qui a 667Hz (fa5), sia più potente rispetto alle altre frequenze. Se osserviamo poi gli spettrogrammi 4 (vocale /o/ a 2 secondi), 5 ( vocale /o/ a 1,4 sec.), 6 (vocale /i/ a 4 sec.) relativi alle immagini 1 , 2 , 3, vediamo nella voce colta un decadimento di intensità quasi verticale oltre i 6 kHz. Questo si allinea a quanto detto in studi sul comportamento delle voci urlate' (6). Nella voce colta notiamo anche la presenza di vibrato (variazione periodica di frequenza della voce) regolare e con profondità (scostamento dalla frequenza media) di circa 82Hz (sulla /i/ tra 3.5 - 4.5 sec.) che in quella zona frequenziale (Fo 667Hz = Fa5) vuol dire quasi un tono. Il secondo esempio di permanenza' ,ma con un punto interrogativo, è a Scanno (Aq): repertorio confraternale rimasto, credo, tra i pochissimi ancora in funzione' in Abruzzo. A Scanno sono presenti due Confraternite ma ormai un solo organista. La domenica e nelle principali occasioni liturgiche vengono ancora eseguiti: l' Ufficio della Beata Vergine , l' Ufficio dei defunti ; il Venerdì Santo, al mattino, Il Miserere . Il repertorio è responsoriale tra il popolo (prevalentemente femminile) e la cantoria maschile, con accompagnamento di organo. Il punto interrogativo riguarda l'esistenza di questa tradizione destinata a scomparire non essendoci giovani che bene o male la porteranno avanti. Si può dire tranquillamente che la tradizione continui grazie a pochi (organista, qualche confratello, qualche anziana signora che non teme di alzarsi presto al mattino) ma negli ultimi dieci anni è giunta all'estremo, vi è stato un sensibile calo di partecipanti: l'ultima volta che ero presente ai primi di ottobre non più di dieci in totale. Esistono, a mia conoscenza, registrazioni che risalgono agli anni settanta, e dall'ascolto di esse il repertorio e le modalità esecutive sembrano sostanzialmente invariate. Dalle interviste che ho potuto realizzare con l'attuale organista e un'organista più anziano, ormai deceduto, è interessante sapere/constatare come lo stile organistico fosse un misto di trasmissione de bouche à oreille e di apporti personali dipendenti dalle conoscenze individuali. Sarebbe poi interessante studiare le influenze colte certamente presenti. Questo caso è quello che chiamerei un esempio di silenzio-assenso: nell'ambito della comunità locale si affianca il riconoscimento della esistenza ad una fondamentale indifferenza. Un insieme di esempi come impermanenze', o suppongo tali, riguardano invece la tradizione de lu Sant'Andone così come vissuta e rivissuta in alcune zone della provincia di Chieti. Il canto de lu Sant'Andone non era necessariamente collegato alla rappresentazione delle tentazioni del Santo, elementi entrambi molto diffusi nella tradizione calendariale in tutto l'Abruzzo. Era un canto di questua eseguito a due voci in forma amebea ed accompagnato, in epoca documentata, dall'organetto diatonico. A Fara Filiorum Petri (Ch) il canto si inserisce ancora, assieme ad altro repertorio, nella festa delle Farchie (16 -17 Gennaio), che è festa patronale e momento principale di riconoscimento identitario per la comunità locale. Quest'ultima caratteristica viene necessariamente, direi, trasmessa al canto. Ma da alcuni anni le modalità esecutive si sono spostate progressivamente verso l'esecuzione corale. A Fara come in altri paesi dove si è mantenuta o è stata ripresa la tradizione della questua i giovani e i meno giovani cantano soprattutto in coro, ad esempio quest'anno nella serata finale della festa, quando le farchie vengono bruciate, ho potuto notare solo esecuzioni del canto di tipo corale: vuol dire che è cambiato qualcosa? I canti di questua prevedevano un gruppo ristretto di esecutori probabilmente per motivi socio-ambientali: densità abitativa minore, il risultato della questua già magro di sé si divideva per il minor numero possibile di persone. In altri contesti il revival' sottoforma di versioni rivisitate del canto e di rappresentazioni sembrerebbe, a prima vista, un recupero da inserire nelle attività amatoriali - proloco di riscoperta di alcuni aspetti della cultura locale - contadina, spesso abbinate ad altre attività ricreative/conviviali: riscoperta del cibo, delle bevande tipiche ecc. L'insieme - contesto festa+canto corale sono divenuti portatori di identità; in modo particolare coralità = partecipazione, esserci, identificarsi con il luogo d'origine o forse anche con lo spirito della festa. Questo però trascina in secondo piano un aspetto che era importante per l'originaria civiltà contadina = il saper fare, una sorta di specializzazione per cui la comunità riconosceva ad alcuni delle doti - capacità particolari, anche quelle del saper suonare e cantare secondo i canoni propri della comunità stessa. Nelle testimonianze che si possono raccogliere oggi l'aspetto del saper fare' passa in secondo piano mentre sono più evidenti i tentativi di contaminazione, le differenze una volta presenti da comunità a comunità sono sostituite dall'adozione di modelli estranei (modelli derivati dal repertorio borghese - colto, e/o modelli geograficamente/culturalmente lontani). E' questa una ambivalenza, forse un punto debole, la stranezza' comunque, per me, di queste testimonianze. Così il canto e le sue modalità esecutive vengono variate con esiti musicali molteplici e/o qualitativamente diversi: - coralità mista, femminile o maschile a cappella - coralità mista, femminile o maschile con accompagnamento di strumenti - presenza del direttore, e di un più o meno ricco arrangiamento per organico diverso (Immagine 7) (7) Nelle permanenze ed impermanenze evidenziate mi sembra di poter individuare due livelli coesistenti: in un primo la continuità, in un secondo il cambiamento; quest'ultimo investe le contestualizzazioni e forse anche le funzioni. E' questo forse corrisponde, come dice James Clifford, ad un " oscillare tra due metanarrazioni: l'una di omologazione, l'altra di emergenza; l'una di perdita, l'altra d'invenzione ." (J. Clifford 1999, pag. 30), in un sistema (locale o mondiale, a seconda dei punti di riferimento) che crea più e nuove diversità basandosi " sulle interrelazioni e relativamente di meno sull'autonomia "(8). Ovviamente è sempre primario l'appello alle risorse locali, alla loro reale conoscenza (lontano dalla retorica). Dopodiché nei processi trasformatori in società che non sono più prettamente orali' e non sono ancora oralità di ritorno (9) le permanenze e le impermanenze possono avere spiegazioni di ordine tecnico-funzionale: scompaiono i mestieri, scompare il modello imitativo che si diceva è alla base di certe caratteristiche espressive; dove tale modello persiste, per vari motivi, permane un certo tipo di capacità espressiva (cfr. Villa Petto). Alcuni modelli possono anche persistere perché particolarmente vicini nelle loro ricchezza di possibilità comunicative a forme culturali che si propongono per l'imitazione. Questo però richiede un ambito culturale ancora sufficientemente ricco e vigile, in caso di disfacimento di esso la capacità censoria/di scelta è libera e il musicista' può introdurre innovazioni che non sa? e non sappiamo quanto attinenti alla tradizione. Se i due livelli di cui si diceva coesistono con pari dignità nuovi soggetti adattano ed utilizzano gli oggetti della tradizione in contesti parzialmente differenti (cfr. Fara F.Petri). " La musica cambia comunque, sia in direzione di un degrado, sia di un miglioramento." (J. Molino 2005, pag. 382) (10). Note1) Gabriele Basilico, Ritratti di periferie universali, Il Sole 24Ore, 18 settembre 2005. 2) G.L. Most, Urban blues e gialli metropolitani, pp. 528-541 in Belfagor LX n.5 2005, Olschki Firenze. 3) D.Di Virgilio, Una presentazione del repertorio folklorico abruzzese attraverso il supporto multimediale , pp. 29-40 in C. Caniglia, Il museo tra passato e futuro, AMUSET, Bomba 2005; su questo argomento cfr. anche D.Di Virgilio, La musica di tradizione orale in Abruzzo , Quaderni della Rivista Abruzzese n. 35, Lanciano 2000. 4) Per una idea generale su questo argomento cfr. G. Léothaud, Classificazione universale delle tecniche vocali , pp. 788 - 813 in Enciclopedia della musica vol. V, Einaudi Torino 2005, e D. Di Virgilio, La musica di tradizione orale in Abruzzo , cit., in particolare la bibliografia) 5)H. Slabbekoorn, Long distance signalling in animals and humans: problems and solutions for using acoustic signals in the natural environment, pp.1 - 9, sito web 6) Cfr. S.Ternstrom, M. Bohman, M. Sodersten, Loud speech over noise: some spectral attributes, with gender differences , pp. 1648 - 1665 in J. Acoust. Soc. Am. 113 (3) March 2006, : " It is well known that with increasing vocal effort, the voice spectrum slope toward higher frequencies on the whole becomes less negative." 7) L' immagine è relativa alla tradizione de lu Sant'Andone . Essa è tratta da un video girato dal prof. Emilio Di Paolo in occasione alla rassegna tenutasi nel 2005 a San Salvo (Ch) e i cui partecipanti venivano dai comuni della zona Sangro - Vastese. 8) U. Hannerz, The world system of culture, the international flow of meaning and its local management , cit. in J. Clifford 1999 pag. 30. 9) Per una definizione di oralità di ritorno vedi W. Ong, Oralità e scrittura , Il Mulino 1986. 10) Per un'analisi di trasformazioni nelle culture folkoriche e para - folkloriche cfr. anche: Matteo Patavino (a cura di), Passaggi sonori, canti musiche e strumenti della tradizione orale del medio Molise Fortore, Finis Terrae, S. Croce di Magliano (CB) 2005, in particolare alle pagine 172 segg.. Bibliografia di riferimentoClifford J., Routes,Travel and translation in the late twentieth century , Harvard Univ. Press 1997 Clifford J., I frutti puri impazziscono , Bollati Boringhieri, Torino 1999 Di Virgilio D., La musica di tradizione orale in Abruzzo , Quaderni della Rivista Abruzzese, n. 35, Lanciano 2000. Léothaud G., Classificazione universale delle tecniche vocali , pp. 788 - 813 in Enciclopedia della musica vol. V, Einaudi Torino 2005 Molino J., Che cos'è l'oralità musicale , pp. 367- 413 in Enciclopedia della musica vol. V, Einaudi Torino 2005. Ong W., Oralità e scrittura , Il Mulino, Bologna 1986 |
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